L’acciaio si piega sotto il peso di una crisi schiacciante. Dopo i due anni record post-Covid, in cui la domanda ha toccato vette inaspettate, nel 2023 il settore è entrato in una fase di stallo. I conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, una forte inflazione, l’aumento della spesa energetica, l’incertezza della fornitura e un generale calo dei consumi in quasi tutto il mondo hanno messo a dura prova le imprese siderurgiche italiane ed europee.
Nel 2024, la situazione si è ulteriormente aggravata. Gli attacchi dei ribelli yemeniti houti nel Mar Rosso hanno compromesso il transito delle navi cargo nel Canale di Suez, snodo marittimo attraverso cui passa la maggior parte dell’acciaio esportato in Europa. All’inizio dello scorso mese di marzo, Assofermet – associazione di categoria afferente a Confcommercio-Imprese per l’Italia che rappresenta a livello nazionale 450 imprese del commercio e della distribuzione – segnalava un aumento della spesa per il trasporto dell’acciaio di ben il 150% rispetto al periodo antecedente l’inizio della crisi nell’area.
Gli “shock” della filiera: il punto di vista di Assofermet Acciai
Questo è solo l’ultimo tassello inseritosi in uno scenario di filiera caratterizzato negli ultimi anni da diversi “shock”. “La pandemia nel nostro settore ha imposto a molte acciaierie di fermare un ciclo produttivo il cui riavvio è complicato e oneroso – illustra Paolo Sangoi, Presidente di Assofermet Acciai -. Dal secondo semestre 2020, e ancor di più dall’inizio del 2021, la ripresa dei consumi di acciaio non ha trovato sufficiente copertura nelle produzioni UE, ingenerando un rialzo delle quotazioni mai visto prima. Per contro, l’importazione da Paesi extra-UE, regolamentata da severe restrizioni quantitative, non è riuscito a compensare la mancanza di merce. Questo ha costretto molti costruttori di beni finiti a rallentare la produzione. Vi è stato quindi un doppio effetto negativo: sviluppo inflazionistico e gravissimo shortage di materiale”.
Successivamente, il rincaro dei costi energetici, le turbolenze geopolitiche e i recenti attacchi ai cargo in navigazione nel Mar Rosso hanno fatto lievitare i costi del trasporto navale, contribuendo allo sviluppo di un processo di reshoring da parte di molte aziende che hanno riportato all’interno dell’UE le loro catene di produzione. “Non fosse per la miope politica comunitaria che tende a guardare con maggiore attenzione alle problematiche della produzione a monte e meno a quelle della manifattura a valle, potrebbero esserci tutti i presupposti per una ripresa economica e dei consumi del nostro comparto, una volta risolte le crisi geopolitiche – dichiara Sangoi -. Premesso che il fabbisogno complessivo di acciaio in ambito UE non può essere soddisfatto dai soli produttori interni, i flussi di import saranno soggetti a maggiori adempimenti burocratici”. Le misure di difesa commerciali e ambientali, se non opportunamente studiate insieme a tutte le parti interessate, rischiano di incrementare le difficoltà degli importatori e ancor più della manifattura a valle che assisterà, suo malgrado, a una colossale perdita di competitività.
C’è anche un impatto negativo sulla logistica di settore. “Le misure protezionistiche in vigore obbligano gli importatori ad adottare procedure di emergenza che si traducono nella necessità di lasciare in deposito presso i terminal portuali la merce sbarcata in attesa dei nuovi contingenti che trimestralmente si aprono e consentono lo sdoganamento esente da dazi. Questa – evidenzia Sangoi – unitamente agli annunciati dazi antidumping la cui applicazione è prevista nei prossimi mesi, è la prima causa dell’intasamento dei terminal portuali. Assisteremo a questo fenomeno almeno fino a quando la salvaguardia all’import d’acciaio sarà in vigore a giugno 2026”.
Porto di Ravenna: il parere del Presidente
Queste dinamiche sono ben note a Daniele Rossi, Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale di Ravenna: “Le misure comunitarie di salvaguardia negli ultimi mesi si sono addirittura inasprite, cambiando in corso d’opera le regole di applicazione. L’approvvigionamento dall’import ha tempi lunghi pari a quattro o cinque mesi. La modifica delle misure, unitamente alla riduzione della domanda finale, ha creato un ripensamento della politica di approvvigionamento che avrà i suoi effetti nei prossimi mesi con una riduzione di importazione in particolare da quei Paesi che hanno registrato una saturazione delle quote. L’attuale intasamento dei terminal è dovuto al fatto che nessuno ha voluto sdoganare oltre la quota assegnata, lasciando in stato estero il materiale rimanente”.
Il Porto di Ravenna non è solo tra i principali scali a livello nazionale per la movimentazione di prodotti siderurgici, con una media negli ultimi tre anni di circa 6,7 milioni di tonnellate all’anno. Al suo interno è anche presente con una sua banchina operativa il principale stabilimento di trasformazione del gruppo Marcegaglia, tra i principali attori nazionali del settore. “La reazione all’inasprimento delle misure sarà una riduzione dell’import, situazione che andrà a scontrarsi con la scarsa capacità produttiva di acciaio in Europa – dichiara Rossi -. In linea di principio, il commercio internazionale deve rispettare le regole del “fair trade”, cercando la giusta mediazione tra una protezione dell’Europa rispetto ai Paesi più aggressivi con l’applicazione di misure che tendano a correggere il gap ma senza chiudersi eccessivamente. Ma l’Europa, e in particolare l’Italia, devono già scontare costi energia penalizzanti, un approccio alla decarbonizzazione sfidante, in particolare nei tempi di realizzazione, e normative di salvaguardia come la CBAM, la cui formula di applicazione oggi non è ben chiara”. E per quel che riguarda in particolare il Porto di Ravenna, “ci stiamo avviando verso la fine dei lavori di approfondimento dei fondali sino a 14,5 mt, con il rifacimento delle banchine operative. Il tutto permetterà l’ingresso a navi sino a 80.000/90.000 tonnellate di portata, con conseguente diminuzione del costo unitario di trasporto delle merci e un aumento della competitività e appetibilità del nostro scalo”.
Gruppo Fratelli Cosulich: sguardo positivo al futuro
Per chi opera nella filiera dell’acciaio la sfida è tenere la barra dritta in attesa di un vento favorevole che potrebbe arrivare all’improvviso. “Dal punto di vista siderurgico e della logistica i primi sei mesi di quest’anno sono stati complicati”, dichiara Augusto Cosulich, Presidente CEO di Gruppo Fratelli Cosulich. “Noi siamo ottimisti di natura: speriamo che i molteplici fenomeni condensati in questo periodo, anche in termini politici, possano produrre un cambiamento positivo. Ci sono in effetti segnali di un secondo semestre migliore del precedente. Per quel che ci riguarda pensiamo di chiudere il 2024 al pari del 2023”. “Di scossoni ne abbiamo visti parecchi – prosegue -. In particolare con l’inizio del conflitto in Ucraina, paese che per tante aziende italiane a lungo ha rappresentato il principale fornitore di materia prima. Il primo passo di molti è stato cercare nuovi fornitori simili per costi e qualità: non è stato facile. Dopo di che si è inserito il tema logistico: una cosa è far portare il materiale dall’Ucraina, tutt’altra farlo arrivare dall’Estremo Oriente. In più sono arrivate le sanzioni nei confronti della Russia, fonte rilevante di rifornimento”. Alla preoccupazione che possa venire a mancare la materia prima si sono aggiunte le problematiche economiche e politiche già citate, più una molto specifica: “Il tracollo dell’economia tedesca – indica Augusto Cosulich –. La Germania è sempre stata un ottimo cliente dell’industria siderurgica italiana. Ora però tante aziende tedesche hanno ridotto la produzione o addirittura hanno chiuso a causa degli elevati costi dell’energia. Nel complesso, le imprese italiane se la sono cavata meglio grazie al fatto di aver trovato forniture di energia alternative e a basso costo. D’altro canto, la storica dipendenza dalla Germania ha avuto un effetto negativo sul loro giro d’affari”.
Ad alzare ulteriormente i costi, ci hanno pensato gli scontri bellici in Medio Oriente e nel Mar Rosso. “Compromesso il Canale di Suez, più spesso si sceglie di far passare le navi dal Capo di Buona Speranza con costi del trasporto più alti, tempi più lunghi, ma anche una maggiore congestione dei porti di destinazione. Laddove prima arrivavano dall’Ucraina navi da 10-15.000 tonnellate, ora approdano negli scali navi con origine nel Far East sono da 40.000 tonnellate”. E non è tutto: “La tariffa di nolo dei contenitori da Shanghai è passata in pochi mesi da 1.500 a 8-9.000 dollari. Tutti questo fa drammaticamente aumentare il costo della logistica che poi viene ribaltato sulla produzione e, in ultima analisi, sulla clientela”.
La nascita di AI Steel Transport
La strategia di Gruppo Cosulich per rimanere competitivi si concretizza nella promessa di seguire il settore siderurgico nella sua evoluzione, continuando a garantire il servizio, potenziandolo nelle aree geografiche e lungo direttrici di traffico alternative. “Il calo di ordinativi dalla Germania spinge a rivolgersi verso altri mercati in particolare in Nord Africa, ma anche in Turchia dove noi siamo presenti con otto società”, descrive il General Manager Shipping & Logistics Activities del gruppo Lorenzo Momigliano. Una mossa fatta in Italia è la costituzione di AI Steel Transport, joint venture tra l’azienda di autotrasporto Autamarocchi e la controllata Lorma Logistics. Quest’ultima è entrata nel Gruppo Cosulich nel 2011 e ha una consolidata presenza nel segmento dei servizi intermodali e di gestione dei container e una crescente rilevanza nel trasporto su gomma. “L’obiettivo era diversificare il servizio per rispondere al fabbisogno logistico dei nostri molti clienti del settore siderurgico italiano che si trovano nel Nord-Est d’Italia”.
Dalmine LS: gestire l’incertezza
Penultimo degli anelli nella lunga filiera dell’acciaio, Dalmine LS ha visto e sentito l’impatto di ciascuno dei fenomeni disgreganti la catena di fornitura del settore. L’azienda, specializzata nella progettazione e realizzazione di soluzioni per l’intralogistica, lavora 25.000 tonnellate all’anno di acciaio in coil zincati. “I prezzi di materie prime ed energia sono aumentati a dismisura in questi anni a causa di fenomeni noti e molto citati quali pandemia, inflazione, guerre, e altri meno spesso evidenziati come l’indebolimento delle aziende italiane ed europee rispetto a Cina e Paesi BRICS, l’eccessiva burocratizzazione dei governi europei, politiche monetarie che, a seconda dei casi, favoriscono o sfavoriscono chi vende o chi compra, la diversa sensibilità dei Paesi concorrenti rispetto ai temi di sostenibilità ambientale e sociale – descrive Gianluca Gorini, Responsabile Sviluppo Strategico & Head of Strategic Business Development di Dalmine LS -. I costi variabili dell’energia uniti a quelli delle materie prime d’origine mineraria o del rottame rigenerato messo a disposizione dai fornitori italiani pesano per il 50-60% sul costo totale del prodotto finito. La fluttuazione con improvvisi picchi verso l’alto dei costi ha portato tensione e incertezza e spinto verso acquisti “speculativi” mirati a mitigare i rischi di rimanere senza materia prima oppure di insostenibili aumenti di prezzo. Per quel che ci riguarda siamo stati costretti a campagne di produzione continue, senza alcune certezza di vendita, con un forte immobilizzo di capitale in acciaieria e costi di logistica in esplosione”.
Nicoletta Ferrini
Estratto dell’articolo pubblicato completo sul numero di Settembre 2024 de Il Giornale della Logistica
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