Prefettura ed economia: qual è il nesso tra questi due mondi?
Il prefetto è il rappresentante del governo a livello territoriale. Il bello del nostro mestiere è che non è mai uguale a se stesso. Ogni zona esprime infatti caratteristiche ambientali, territoriali, economiche e sociali differenti con cui la Prefettura deve misurarsi.
La zona di Milano quali peculiarità esprime?
La città è sempre stata un polo trainante e nevralgico per l’economia, per la finanza e, suo malgrado, anche durante la fase pandemica ha anticipato criticità che poi si sono diffuse altrove. La Prefettura di Milano poi è sempre stata un laboratorio di idee perché, storicamente, le tensioni economico-sociali hanno sempre avuto in questa città la prima vetrina di esposizione e di realizzazione.
La sua presenza, lo scorso novembre, al convegno dell’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” ha suscitato attesa, stupore e molto interesse nel comparto logistico. Quali sono stati i motivi e quale il seguito della sua partecipazione?
È stato un momento importante e necessario: Milano è nevralgica anche per la logistica. Qui sono venute a galla le prime patologie del settore e dai provvedimenti gestiti è nata una riflessione profonda con la Magistratura, con cui lavoriamo in stretta sinergia, che ci ha portato a indagare il perché di certi fenomeni.
Un lavoro preventivo?
I problemi sociali e di lavoro non governati sfociano molto facilmente in problemi di ordine e sicurezza pubblica. E anche il settore della logistica ha risentito di questa logica.
La cronaca, che racconta di blocchi e di tensioni, lo conferma...
È purtroppo ciò che succede dove ci sono delle conflittualità di natura sindacale, a maggior ragione in un settore che ha visto nel tempo un ampliamento dell’adesione al sindacalismo di base, caratterizzato da modalità di relazione e di conflitto ben diverse da quelle dei sindacati tradizionali.
Cosa ha causato questa deriva, secondo lei?
La logistica è una filiera estremamente complessa e ramificata, composta da una lunga catena di attori, da committenti, appalti e subappalti, assegnazioni a cooperative. Un ecosistema che, nel tempo, ha generato delle storture e anche delle forme di sfruttamento dei lavoratori. Ci sono delle “vittime”, ci sono dei “carnefici”: la magistratura ha portato in evidenza delle situazioni di rilevanza penale, che si è cercato di superare con l’amministrazione giudiziaria delle società coinvolte.
L’altra faccia della medaglia è data dalle reazioni, sempre più cariche di tensione, che arrivano dalla base e che rendono sempre più labile il confine tra legalità e il suo contrario.
Partiamo da un presupposto: il compito della Prefettura è quello di garantire il libero esercizio di tutti i diritti costituzionalmente garantiti.
In questo contesto esistono due diritti che le parti intendono esercitare: il diritto di sciopero, di protesta e di rivendicazione sindacale e il diritto di libertà economica imprenditoriale.
La magistratura è stata chiamata ad effettuare l’interpretazione di fatti concreti, ovvero delle modalità di protesta sindacale.
E cosa è emerso?
Non è detto che un picchettaggio esercitato fuori da una proclamazione di sciopero sia necessariamente un fatto rilevante dal punto di vista penale, come delle sentenze hanno già sottolineato. La violenza privata richiede un presupposto fattuale, ossia la violenza, e l’elemento soggettivo della consapevolezza di compierla. Se manca uno degli elementi il reato non si configura. Resta il comportamento illecito ma il conflitto deve trovare soluzioni in altra sede.
Prevenire la situazione patologica e aprire a una normalizzazione dei rapporti era proprio l’obiettivo del tavolo intercategoriale avviato dalla Prefettura di Milano nel 2019.
Esatto. Il fine era quello di avviare uno spazio di confronto e ragionamento con tutte le associazioni e i rappresentati di categoria per favorire la trasparenza e la legalità di un settore in cui è facile innescare meccanismi di sfruttamento a danni di figure fragili e storture nella leale concorrenza economica, come è assodato avvenga in tutti i processi e le filiere organizzative complesse.
Come è andata?
Purtroppo, il tavolo non ha dato i risultati sperati: troppo poco il tempo di confronto e di metabolizzazione dei problemi. La pandemia ha bloccato l’esperimento sul nascere ma, nel contempo, è stata come benzina per un settore che non si è mai fermato.
In questi mesi a crescere, oltre al settore, sono state anche le tensioni.
Su Milano abbiamo gestito e stiamo tutt’ora gestendo diverse vertenze, alcune vere e proprie spine nel fianco. Altrove, come sappiamo, si sono verificati episodi con epiloghi tragici. Abbiamo sempre avuto ben chiara la necessità di dover riprendere le fila del confronto. Di trovare un terreno comune a tutti gli attori per individuare delle formule di trasparenza e di legalità che possano dare garanzie a tutti: ai committenti, ai fornitori di servizi logistici, ai lavoratori.
In pratica?
Abbiamo ripreso il confronto ma con un metodo diverso. Abbiamo abbandonato l’approccio corale per riprendere i contatti con le singole categorie. Prima di tutto però era necessario capire le dinamiche del settore e in questo senso la collaborazione con il Politecnico è stata preziosa.
In che senso?
Il fatto che Milano abbia un’Università che si mette al servizio delle istituzioni fa davvero la differenza. Noi prefettizi dobbiamo a volte essere un po’ tuttologi, abbiamo i problemi sociali ed economici nei nostri territori, ne vediamo gli effetti, ma abbiamo una formazione giuridica che non sempre è sufficiente per comprendere fenomeni complessi. Per il settore della logistica, in questo contesto, è fondamentale capire bene, dall’interno, i meccanismi e le relative dinamiche prevalentemente di filiera. In questo senso la collaborazione con l’Osservatorio è stata ed è un’eccellente opportunità.
A che punto siamo adesso?
L’interesse della Prefettura è arrivare alla definizione di un accordo quadro, con poche linee essenziali, condivise da tutte le categorie di attori nell’ottica della trasparenza e della legalità. Vogliamo uscire dal ruolo “patologico” in cui ci troviamo relegati, nostro malgrado insieme alla magistratura, per averne uno più propositivo di normalità. I lavori sono ancora in corso, come pure gli incontri con le singole associazioni di categoria, e portati faticosamente avanti tra le varie emergenze dettate dalla pandemia.
Milano, sebbene importante, non è però l’Italia. Avete in corso progetti di rete con altre Prefetture?
Posso dire che l’asse Milano-Piacenza è molto ben consolidato. La speranza è che attraverso un modello minimo, ma ragionato, di adesione sul milanese, possano innescarsi dei processi virtuosi per cui l’intero settore trovi piano piano una composizione normalizzata. Lo abbiamo già sperimentato.
A cosa si riferisce?
Quando nel 2000, da giovane funzionaria, sono arrivata alla prefettura di Milano c’era sul tavolo il grosso problema della sicurezza sui luoghi di lavoro, della legalità e del lavoro nero nel settore edile. Ebbene, dall’idea nata proprio qui, di incrociare i dati informatici di Cassa Edile, Inps e Inail, per fare controlli mirati in caso di dichiarazioni discordanti, è nato, successivamente, a livello nazionale, il DURC.
E nel caso della logistica, la strada da seguire potrebbe essere simile?
La similitudine riguarda il fatto che Milano, in questo momento è un laboratorio. Non esiste una ricetta risolutiva, pronta da condividere. Ma il percorso è stato avviato, non so dove ci porterà, però è un punto di partenza per scardinare un meccanismo che non funziona.
Dal canto loro le aziende cosa potrebbero, o dovrebbero, fare?
Visto il peso che ha per noi il tema sindacale non posso che suggerire di puntare sulla valorizzazione della relazione con i lavoratori. Tenendo conto del fatto che le prime linee della logistica sono un universo multiculturale e, spesso, multilingue.
In pratica?
Tentare di investire sulle persone, formandole, informandole, dotandosi di mediatori culturali che aiutino a comprendere il contesto, le regole, i diritti. Questo può favorire migliori relazioni sindacali e quindi minore conflittualità.
- Nome: Alessandra Tripodi
Formazione: Laurea in Giurisprudenza, Master in management pubblico e comunicazione di pubblica utilità, Procuratore legale
Carriera: inizia il suo percorso in Prefettura a Lodi, per poi approdare alla Prefettura di Milano nel 2000. Oggi ricopre gli incarichi di: Capo di Gabinetto – Dirigente Ufficio del Rappresentante dello Stato e della Conferenza Permanente
Le attività: ha partecipato in qualità di relatore e docente a numerosi convegni o corsi di formazione in materia di procedimento amministrativo, antimafia, protezione civile, difesa civile, violenza contro le donne, gestione grandi eventi (Expo). Lo scorso novembre ha partecipato al Convegno dell’OCL “Gino Marchet” del Politecnico di Milano
Vita privata: Salernitana, come il marito, medico chirurgo al Policlinico di Milano e professore universitario, vive a Milano con i tre figli di 23, 19 e 18 anni.
Alice Borsani
Estratto dell’articolo pubblicato sul numero di Gennaio Febbraio 2022 de Il Giornale della Logistica
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